Il problema non è più quello della carcerazione ma piuttosto quello delprocesso in sée dellimmediataosmosi tra questo e linformazione, unosmosi che avviene quasisenza regolee chesi abbatte sullindagatoe a volte anche sui testimoni con danni spesso irreparabili.Qualche regola si deve fissaresenza agitare sempre il pericolo di ’leggi bavaglio’”. Guido Salvini, ha un curriculum di tutto rispetto: è stato giudice istruttore, gip a Milano, ha svolto numerose indagini nellambito delleversione sia di destra che di sinistra, ha riaperto le indagini sulla strage di Piazza Fontana, ed ha trattato persino il fenomeno della criminalità economico-finanziaria. Gip del caso legato al sequestro di Abu Omar, ha seguito le prime inchieste sul terrorismo di matrice islamica. Negli ultimi anni é stato il gip dell’inchiesta condotta a Cremona sul calcio scommesse. Ora é rientrato a Milano. Ed oggi, incontrando il cronista dellagenzia di stampa Adnkronos, è tornato ad affrontare quello che suo avviso è uno dei problemi principali della giustizia, sul quale a suo giudizio è necessario intervenire senza indugiare ulteriormente: processo penale e informazione. Unintervista quella Salvini, che anticipa lincontro pubblico di domani a Palazzo di Giustizia, per le’nozze d’argento’ diMani Pulite, con due dei principali protagonisti della stagione di Tangentopoli: Piercamillo Davigo e Antonio Di Pietro, subito dopo le critiche sollevate dal Primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio su processi mediatici, fuga di notizie appunto, carcerazione e autoreferenzialità di alcuni pm, Guido Salvini punta dritto su quella che vede come un’osmosi pericolosa tra informazione e processo. “Nessuno, indagato o testimone, grande o piccolo che sia,deve apprendere per la prima volta dai giornali di una sua iscrizione nel registro notizie di reato, di una intercettazione, di una proroga indagini, di un qualsiasi atto che lo riguardi. La pubblicazione di notizie di questo tipo -sottolinea- non dovrebbe essere consentita sino ad un momento preciso: quello in cui linteressato ha avuto la possibilità di dare davanti ad un magistrato la sua versione su ciò di cui è accusato o su quanto si dice di lui”. E il caso ad esempio dalleintercettazioni telefoniche: “Non dimentichiamo che ad esempio una conversazione telefonica non è quasi male un discorso strutturato, funziona per frasi sincopate, interruzioni, spesso iperboli, divagazioni, intonazioni che non conosciamo.Chi parla ha il diritto di non essere scaraventato sulla stampa prima di fornire la propria spiegazionedi quanto si stava dicendo, e si era detto prima e dopo, magari qualcosa di diverso da quanto ipotizza laccusa. Non dico che nulla di unindagine possa diventare una notizia osserva Salvini – ma che ciò debba avvenire solo quando una vicenda sia giunta ad un minimo di stabilità e vi sia stato almeno un inizio di contraddittorio. Altrimenti aggiunge il togato – e non dovrebbe essere il desiderio nemmeno dei direttori dei giornali e dellOrdine dei giornalisti,chi scrive si riduce ad una buca delle lettereusata per lo più dagli inquirenti e che in più vogliono che le notizie che fanno filtrare siano pubblicate con la velocità di un telegramma. E questa non è informazione maetero direzione dellinformazione”. E alla vigilia delle celebrazioni della stagione giudiziaria più clamorosa in Italia, appunto quella di Mani Pulite, Salvini dice la sua anche sul tema dellacarcerazione preventiva, in passato additata soprattutto dalla politica come una sorta di tortura esercitata per estorcere confessioni. Non é più così, dice oggi il giudice. “La gran maggioranza degli arresti di Mani Pulite non si fondava certo sulpericolo di fuga o di reiterazione del reato, molto improbabili in quella situazione, ma sul cosiddetto pericolo di inquinamento probatorio e cioè il pericolo che gli imputati si mettessero daccordo tra loro per dire il falso o anche solo per tacere. Nella pratica quasi tutti hanno confessato subitoe, salvo qualche imputato di maggior rilievo,sono usciti dal carcere dopo pochi giorni.Questi provvedimenti di natura opposta a breve distanza di tempo, prima era necessario il carcere, pochi giorni dopo no, dimostrano come ipubblici ministeri si muovessero su un crinale molto stretto, al limite di quanto previsto dal Codicee che la famosa interpretazione fornita dallallorapm Davigo’non li mettiamo in carcere per farli parlare, li scarceriamo se parlano’ fosse realtà assai esile, poco più che un sottile sofisma. In realtà i pubblici ministeri sapevano benissimo che quegli imputati avevano paura del carcere e che larresto avrebbe avuto il suo effetto”. Oggi però “la situazione molto diversa. Lariforma in materia di custodia cautelare del maggio 2015ha ristretto ancor più lapplicazione della carcerazione alle situazioni in cui si può seriamente motivarne le necessità e ormai i casi in cui si può intravedere un abuso della carcere preventiva sono piuttosto rari”.
M.