“Il problema è che il caso rischia di fare scuola, aprendo strade di morte”. Intervistato dallagenzia di stampa Adnkronos in merito alla triste vicenda del bimbo inglese al quale si è deciso di staccare la spina dei macchinari che lo tenevano in vita, Don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Cei, non ha dubbi: “è disumano arrivare a stabilire chi ha diritto a vivere e chi no”. Una vicenda questa, che secondo il prelato spiega “la crisi antropologica denunciata da papa Francesco con la cultura dello scarto. Si fissano parametri su ciò che è vita e dignità e su ciò che non lo è, questa è disumanità. Stiamo andando verso il principio di autodeterminazione dove i diritti individuali (“che talvolta sono solo desideri”) devono essere garantiti dallo Stato”. Negando la vita al piccolo Charlie, di fatto decade anche il diritto di sperare, “questo afferma Don Carmine – è il metro di misura di una società che, come dice a ragione il Papa, non sa prendersi cura della fragilità più estrema. Viene chiusa la porta alla speranza. Non riusciamo a dare un senso alla vita e allora si decide che va eliminata. Abbiamo avuto filosofi e studiosi che hanno invitato a non mettere al mondo figli per non farli soffrire. Questa è pura disumanità. Se pensiamo poi che oggi con la diagnosi prenatale ci sono bambini che non si fanno nemmeno nascere..”. Ma laspetto peggior che avvolge questa storia, aggiunge ancora il direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale sanitaria della Cei, “E’ il non riconoscere che una persona, con tutte le fragilità che può avere, ha una sua dignità. La dignità è data dal fatto che si è dentro la comunità umana. Se togliamo questo punto fermo arriveremo a stabilire chi ha diritto a vivere e chi no. Il punto drammatico afferma preoccupato concludendo – è che decisioni come quella del piccolo Charlie finiscono per fare scuola”.
M.