“Il popolo di Dio che ha un grande fiuto sia nell’accettare, nel canonizzare come nel condannare – perché il popolo di Dio ha capacità di condannare – perdona tante debolezze, tanti peccati ai preti; ma non può perdonarne due: l’attaccamento ai soldi, quando vede il prete attaccato ai soldi, quello non lo perdona, o il maltrattamento della gente, quando il prete maltratta i fedeli: questo il popolo di Dio non può digerirlo, e non lo perdona”. Suona come un vero e proprio anatema quello lanciato da Papa Francesco nellomelia di Santa Marta. La bacchettata nei confronti dei preti affascinati dal denaro, giunge alla presenza dei segretari dei nunzi apostolici, in Vaticano per il Giubileo dei collaboratori delle rappresentanze pontificie organizzato dalla Segreteria di Stato. “Le altre cose, le altre debolezze, gli altri peccati sì, non sta bene, ma pover’uomo è solo, è questo e cerca di giustificare. Ma la condanna non è tanto forte e definitiva ammonisce il Pontefice – il popolo di Dio ha saputo capire, questo. Lo stato di signore che ha il denaro e porta un sacerdote a essere padrone di una ditta o principe o possiamo andare in su”. E a tal proposito Bergoglio ripercorre il passo della cacciata dal Tempio da parte di Gesù, perché questi hanno trasformato la casa di Dio, un luogo di preghiera, in un ’covo di ladri’: “Il Signore ha aggiunto ancora Francesco – ci fa capire dove è il seme dell’anticristo, il seme del nemico, il seme che rovina il suo Regno: l’attaccamento al denaro.Il cuore attaccato ai soldi è un cuore idolatra. Gesù dice che non si possono servire due signori, due padroni, Dio e il denaro.Il denaro è ’l’anti-Signore’”. Quindi il Santo Padre conclude la sua omelia diffodendo un messaggio di incoraggiamento: “siate coraggiosi. Fate scelte. Denaro sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore, il risparmio sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore. Ma non è lecito, questo è un’idolatria, l’interesse. Il Signore a tutti noi ci dia la grazia della povertà cristiana. Che il Signore ci dia la grazia di questa povertà di operai, di quelli che lavorano e guadagnano il giusto e non cercano di più”.
M.