‘IL MALE DI DARIO BELLEZZA’ – A 20 ANNI DALLA SCOMPARSA DEL POETA, RENZO PARIS E ANDREA DI CONSOLI PRESENTANO IL LIBRO DI MAURIZIO GREGORINI. ALLE 18 ALLA FELTRINELLI DI ROMA

“E’ un saggio esaurito da tempo e che incuriosisce tuttora. Ecco perché il libro è stato ripubblicato con l’aggiunta di parecchi inediti e del commento di Renzo Paris; ma è anche un modo per ricordare Bellezza nel ventennale dalla sua morte per Aids. Credo sia un testo significativo poiché ha permesso, non solo a me, ma anche ad altri, una rivalutazione umana e letteraria di un poeta ingiustamente definito difficile, scontroso, ribelle. Ma posso ammettere che si tratta di un uomo di grande fascino e altro livello culturale, qualità queste, a cui noi italiani non siamo più abituati. L’averlo avuto come amico, l’averlo potuto frequentare, ha permesso il dipanarsi di una empatia che di rado avverto per altri poeti -eccezione fatta per Raffaella Belli, poetessa che considero la mia anima gemella; non nego che questo legame con Dario mi creò invidie e fastidi che ancora oggi persistono. Speravo che con la distanza devi avvenimenti accaduti, alcune persone riservassero nei miei confronti un giudizio più sereno rispetto al passato. Ma ciò pare non accada. Penso succeda perché trattare Dario Bellezza non è cosa semplice: furono molti i nemici conquistati anni fa quando il testo apparve per la prima volta, e resto convinto che altrettanti si aggiungeranno alla lista. Capisco di risultare fastidioso, soprattutto a certi letterati che non mi perdonano l’affronto offertogli con questo volume, ma proseguo per la mia strada, indifferente alle accuse che mi si rivolgono. Con l’arrivo nelle librerie de ‘Il Male di Bellezza’ ho compreso che i tempi non sono ancora maturi, vent’anni dalla morte sono pochi per maturare un giudizio che scevri da visceralismi inopportuni. Sa, le verità, se sbattute in faccia e con chiarezza, inducono alla riflessione, alla consapevolezza, e questi sono stati di cose che gli altri non perdonano. Per quel che riguarda me, posso dirle che mi sono liberato di un peso che ancora gravava sul mio animo, una scarcerazione che mi permette di pensare al mio lavoro, alla poesia, con una responsabilità diversa dal tempo in cui i fatti accaddero, una responsabilità oserei dire smarrita dopo la vicenda vissuta con Dario. Ciò che egli mi ha trasmesso, come poeta e come uomo, che piaccia o no, è tutto in questo libro”.

A vent’anni dalla morte per Aids del poeta romano (morì a Roma il 31 marzo del 1996), il poeta, scrittore e giornalista Maurizio Gregorini (è autore di poesie, racconti, romanzi, saggi. Parte della sua produzione poetica è in “Vortici. Poesie per l’altro amore”, 2002, per il quale ha vinto il “Premio Personalità Europea” consegnatogli presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio) parla del suo “Il male di Dario Bellezza” (Castelvecchi editore, 206 pagine, 18,50 euro), nelle librerie in questi giuorni in una nuova edizione ampliata. Già vincitore del Premio Mangialibri nella categoria “Miglior rapporto qualità/prezzo del 2006”, il testo su Bellezza appare tuttora di grande attuali, un tormentoso diario del ’Male’ di un poeta, del suo rapporto con l’amore, la poesia, il dolore e la morte. La prima parte del volume è la cronaca quotidiana dell’agonia di un uomo in lotta contro l’Aids, uno scabro e denso resoconto giorno per giorno fino alla morte; la seconda è una lunga intervista di Gregorini a Dario Bellezza, nella quale il poeta, oltre a parlare di sé, dei suoi libri, della sua quotidianità, racconta particolari inediti della vita e della tragica fine dell’amico Pier Paolo Pasolini. Ma nel racconto di Bellezza emergono, lungo il percorso di una vita intensamente vissuta, anche le figure di Alberto Moravia, Sandro Penna, Elsa Morante e altri. In appendice sfilano gli interventi di Enzo Siciliano, Luca Canali, Maria Luisa Spaziani, Barbara Alberti, Elio Pecora e Adele Cambria (questi i più significativi), a cui si è aggiunta, registrata nel gennaio scorso, la testimonianza di Renzo Paris, altro grande amico del poeta. Ecco perché il volume di Gregorini  resta di grande valore documentario e letterario: si tratta non solo dell’unico libro di riferimento sull’opera e sugli aspetti più intimi della vita di Dario Bellezza, con la nuda testimonianza su una malattia devastante, ma  di una sorta di spaccato del Novecento letterario italiano. E proprio come una sorta di documento definitivo, al di là della serie di inserimenti inediti e della nuova prefazione (il libro è suddiviso in cinque parti: ‘Premessa’, ‘Diario Bellezza’, ‘Colloqui col poeta 1989-1996’, ‘Appendice 1997’ e ‘Appendice 2006’), si ritrova pure la postfazione che il poeta Renzo Paris scrisse per la prima edizione, introvabile da anni e più volte richiesta dai lettori. Come scrisse Giuseppe De Grassi in un articolo su “Il Giornale del Mattino”, il libro di Gregorini andrebbe preso in considerazione, per capire soprattutto “Come muore un poeta: abbandonato, impoverito, quasi miserevole nello scoprire che l’arte, in fin dei conti, è solo finzione: che alla fine rimane solo la miseria della vita. Leggetevi questo libro: capirete perché i poeti non dovrebbero morire mai. Dovrebbero avere la stessa potenza dei loro versi: l’immortalità”. “Il Male di Dario Bellezza” verrà presentato al pubblico quest’oggi alla Feltrinelli di Roma (via Emanuele Orlando, Stazione Termini) dallo scrittore e poeta Renzo Paris e dal giornalista scrittore Andrea Di Consoli alle ore 18.

-Gregorini, sembra che a ricordare Bellezza ci sia solo lei con il suo libro e l’edizione dell’Oscar Poesia apparsa l’anno scorso.

“Ha ragione, forse per questo il mio libro è richiesto ancora oggi. E, al di là dell’Oscar Mondadori che include tutta la sua produzione poetica, non è stato ristampato nessuno dei suoi libri in prosa, che sono parecchi. Ma trovo che il fatto scandaloso sia che, nel quarantennale della morte tragica di Pier Paolo Pasolini, accanto alla miriade di testi apparsi sulla fine del poeta friulano,non abbiano trovato spazio due testi fondamentali che Bellezza aveva scritto sull’amico poeta: “Morte di Pasolini”  del 1981 e “Il poeta assassinato” uscito postumo nel 1996. Glielo affermo perché resto della idea che a Bellezza si faccia scontare, ancora adesso, quel lato del suo carattere che in pochi hanno capito e digerito, gli si faccia ancora pesare quel suo essere ‘outsider’ nella poesia, nella vita, nei rapporti con gli altri. Per me la vita di Bellezza è stata pari a quella dei Santi (che lui adorava pur non essendo praticante): gente rara, ma anche sconcertante, tant’è che anche coi loro scritti, i Santi, hanno sempre suscitato imbarazzo, come è capitato coi versi di Bellezza, appunto. A Bellezza è spettato di mutare il senso della poesia del Novecento, e questo non è poca cosa. E siccome le vite dei Santi restano da anni le mie letture privilegiate (ma ciò non fa di me né un religioso tantomeno un cattolico, e lo stesso posso dire di Bellezza), nel corso degli anni della mia frequentazione con Dario, ho sempre visto la sua esistenza come un percorso altamente spirituale, ossia ciò a cui i veri poeti sono chiamati e destinati, loro malgrado; e da essere spirituale quale sono anch’io, ho vissuto gli anni della nostra amicizia. E’ una delle ragioni che mi hanno spinto anche ad ampliare in parte il libro quando, a dicembre scorso, Castelvecchi me ne ha proposto la riedizione, contestualizzandolo al presente. Intendo sottolineare che forse ora, lo si può leggere con meno ansia e ripudio rispetto a vent’anni fa, quando apparve la prima volta e quando l’AIDS era una malattia di cui era difficile parlare”.

-Non le sembra di esagerare parlando di spiritualità? Non sembra che dai libri in prosa di Bellezza ciò sia evidente, come dimostra pure l’esordio poetico avvenuto con “Invettive e licenze”, definito da Paolini “Il lavoro del migliore poeta della nuova generazione”.

“Può darsi sia cosi, come lei sostiene. Però sa, ognuno vede e trova in ogni opera ciò che più si confà al suo modo di vivere. Io perlomeno lo avverto così, soprattutto nelle pubblicazioni degli ultimi anni come ‘L’avversario’, ‘Libro di poesia’ e il postumo ‘Proclama del fascino’. E non era un caso che Bellezza si lamentasse, nell’ultimo periodo della sua vita, che il mondo cattolico non prendesse seriamente in considerazione i suoi versi. In fin dei conti, cos’è la spiritualità? Credo sia uno stato d’animo diverso rispetto alla fede e al credo (cattolico, induista, buddista, islamico, ebraico ecc. ecc.): è un dono che ogni essere umano ha dentro di sé, e che solo in pochi intendono sviluppare. I poeti poi… sono come delle creature che hanno le antenne rivolte agli accadimenti del mondo, e di questo mondo anticipano bellezze, magnificenze e, ovviamente, catastrofi. Il detto che non siamo essere umani che volgono alla spiritualità, ma esseri spirituali che debbono imparare ad essere umani, penso resti sempre valido. E basta entrare con compassione nella vicenda umana di Bellezza per percepirlo appieno. Parlando di Bellezza non si può negare come il suo canto ultimo, ‘Proclama del fascino’ appunto, sia un canto rivolto alla transitorietà del corpo e dei suoi dolori come delle piacevolezze tipica del buddismo a cui Bellezza, negli ultimi anni della su vita, si era avvicinato. Soprattutto mi pare avesse compreso che se un fatto, un accadimento, sia cosa rara, non è detto che non esista. Ed è in questo che si può rintracciare il suo lato spirituale, espresso con parole tipo ‘sogno’, ‘vuoto’, ‘illusione’, ‘flusso del tempo’, ‘disgregazione’, ‘nulla’ o ‘fugace’, che ritornano nel suo canto del cigno e che ricorrono sì ad esperienze spirituali come quella buddista, ma che in fondo sono proprie di ogni esperienza religiosa. Non è certo facile trovare nella vita di un artista la perfetta sovrapponibilità di vita ed opera, ma posso dire che Dario viveva nella sua poesia e la sua poesia viveva nella sua vita. E ne sono testimonianza i suoi versi ultimi, quelli vergati pochi giorni prima di morire, rivolti ai suoi adorati gatti, di cui avvertiva terribilmente la mancanza, e alla perdita per lui tanto amara del calore di amicizie che la propria malattia gli aveva spietatamente sottratto e a cui non sapeva rassegnarsi”.

-A distanza di anni, cosa le resta di tutta questa vicenda?

“L’affetto e l’amicizia per un uomo unico, raro. Lo scambio poetico tra due persone che hanno sempre creduto che la poesia può essere un modo di vivere una vita altra, distante da ogni tipo di conformismo a cui la società tende ad imprigionarci. E lo ammetto con parole chiare: Bellezza mi ha fatto un dono, mi ha donato la sua compagnia, soprattutto l’esperienza esclusiva della sua morte. Con me è stato sempre generoso, e lo è stato nel momento ultimo. Nel senso che la sua storia, la storia di un poeta che potrebbe essere anche la mia, mi ha fatto intravedere, intuire quel passaggio misterioso a cui siamo condannati. Lo scrivo nel libro: la malattia di Bellezza non si conclude nelle forme a cui siamo abituati, in un mondo che oggi più che in passato si ostina a non voler posare lo sguardo sulle sofferenze e la morte: appunto, è un lascito spirituale, un fermento di vita”.

-In che modo ci si può avvicinare alla tragedia narrata nel suo libro?

“Non saprei. Ognuno ha una propria maniera di approcciarsi ad un testo ed io non saprei consigliare alcunché. Posso però dirle come io lo avverto: nei mesi in cui Dario scivolava verso la morte, giorni in cui tra di noi si discuteva animosamente su ogni aspetto dell’esistenza, avevo bene in mente -e non le nascondo che le ho anche adesso- le parole di Cristo: “Quando avete a che fare con una malattia non cercatene le cause, ma cercatene il senso”. Mi permetto di credere che “Il Male di Dario Bellezza” sia una sorta di risposta a questo senso, perché anche se non ne resta traccia (chi non lo ha potuto frequentare non ne può avere idea) il coraggio che Bellezza ha avuto fino all’ultimo nel restare se stesso gli è stato indispensabile nella sua crescita, poetica e spirituale, e il suo ultimo “Proclama sul fascino” ne è testimonianza. Lo ripeto, quegli intellettuali, quei redattori delle case editrici che snobbano Bellezza, che dettano regole perché non sia ripubblicato, senza capire fino in fondo con cosa hanno a che fare, dovrebbero valutare ciò che gli ultimi versi di Dario insegnano: comprendere la vita per misurare in senso alto gli impulsi di bene e male comuni a tutti gli uomini, i loro sensi di colpa e ossessioni. Non è questione di perdono (come noi di solito siamo portati ad intendere) ma di consapevolezza. Ecco perché insisto sulla spiritualità di Bellezza (e non sulla sua conversione come in molti hanno pensato): per lui non ci sono astrazioni né rituali, tantomeno separazione tra vita quotidiana e dimensione dello Spirito. Bene, mi obietterà che ciò gli è capitato negli ultimi anni. E allora? Guardi che nella sua dimensione spirituale, Bellezza non è mai venuto meno al suo slancio coraggioso e provocatorio: le sue provocazioni erano per un lui un fatto di natura, e si è fatto odiare, come si è fatto odiare Cristo coi suoi proseliti. Come Pasolini anche Bellezza ha dato scandalo, anche se di natura diversa: sì, uno shock poetico per le immagini usate coi versi, che però aveva senso didattico, cosa che ora i poeti non sono soliti fare. Ecco, questo impatto duro e forte che per Bellezza era necessario, serviva non a cambiare il mondo (difficile credere a ciò che scriveva Dylan Thomas, ossia che il mondo non resta più lo stesso dopo che si è scritti una bella poesia; lo stesso mondo in cui ci tocca di vivere lo dimostra apertamente), ma il modo di pensare, anche fosse di un solo individuo. Ed è con questo suo atteggiamento che, oso dire, praticava il miracolo della poesia dentro di noi”.

M.